Bisogna rinunciare al bisogno di aver ragione? È possibile rinunciare all’aver ragione?

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Dubitare giustamente

Sostituire con il punto di domanda, il punto posto dietro le nostre convinzioni, è un buon modo per ampliare gli orizzonti conoscitivi, magari scoprendo che le presunte verità definitive erano soltanto aspetti della nostra ottusità.  Porre in discussione le proprie idee è anche un buon modo per evitare discussioni con altri: chi ben conosce non discute, eventualmente spiega.

Discutere è un ottimo modo per sciupare energia e per impedirsi l’emersione di stati esistenziali superiori. Spesso si discute, perché, come viene spesso detto:  si vuole avere ragione. Dovremmo però considerare che ragione e torto esistono a prescindere dalle reazioni altrui. Se abbiamo ragione abbiamo ragione, se siamo in torto siamo in torto. In ogni caso. Gli altri possono confermarci o negarci di aver ragione, torto, ma soltanto se sono veramente in grado di farlo. Dare ragione a chi ha torto significa illuderlo, negare la ragione di chi afferma verità è mentire. 

Chiedo alla Pace Assoluta di aiutarmi a superare i meccanismi del discutere.

         La ragione sta dalla parte di chi ragiona meglio. Non perché la racconta apparentemente meglio, ma perché i suoi ragionamenti sono più veritieri. Manipolare con successo non significa aver ragione, anche se i fatti sembrano dar ragione, perché ottenuto il voluto manipolando.

Rinunciare al bisogno di aver ragione, come viene talvolta espresso, significa voler essere irragionevoli. È bene rinunciare al bisogno che gli altri ci diano ragione, ma dobbiamo fare in modo da essere sempre più profondamente ragionevoli. Aver ragione significa semplicemente esprimere la verità, che è tale a prescindere dell’interpretazione altrui delle nostre parole. 

         Il ragionamento è arte molto meno diffusa di ciò che si ritiene in generale, anche perché, in generale, non si ragiona in modo sufficientemente profondo, consapevole, complesso, per sintetizzare giustamente. Dalla prospettiva dell’umanizzazione, l’aumento della qualità del ragionamento esige l’aumento del grado di consapevolezza, non soltanto acquisizione e combinazione di nozioni.

         Umanizzandoci con qualità possiamo comprendere molte cose, che prima riuscivamo a concettualizzare, senza però comprendere, perché i concetti non erano nobilitati dal grado di consapevolezza necessario per integrarli, comprendere veramente, anche grazie al sentire qualitativo.

Mi apro alla realizzazione della

capacità di dubitare consapevolmente.

Domande illuminanti

Le domande illuminanti sono funzioni concettuali illuminanti. Interpellarsi in modo illuminane è naturale: siamo luce che cerca Luce. La comprensione è di per sé soggettiva: la qualità del soggetto determina necessariamente la qualità della sperimentazione-interpretazione. Le domande illuminanti servono anche per donare miglior, maggior, significato ai simboli che ogni giorno la vita ci propone: porsi domande giuste in modo giusto, è anche un modo di allenarsi per interpretare senza proiettare. Se non vogliamo essere vita simbolica, dobbiamo significarci sempre meglio.

Il cosmo è anche un simbolo, noi siamo anche un microcosmo, espressione di Sé Identità Reale. I simboli sono soltanto forme per chi non sa interpretarli, donargli significato: per far significare veramente la vita bisogna nutrirla con significati profondi, non con simboli privi di qualitativa significazione.

Tutte le domande poste giustamente, in modo da favorire maggior comprensione, sono illuminanti. Ci sono verità che sono di grande aiuto all’uomo, anche se contemplano, essenzialmente, soltanto il piano della materialità fisica, senza considerare ambiti superiori. Il concetto di domanda illuminante riguarda però primariamente le domande che favoriscono l’illuminazione, ovvero l’umanizzazione. Le domande illuminanti sono strumenti per la spiritualizzazione della mente, in modo da maturarla come strumento in funzione del Superiore, per generare verità sempre più integrali.

Le domande illuminanti sono concetti che favoriscono il superamento dei limiti rappresentati, anche, dai concetti esistenti.

Le domande illuminanti sono modi di utilizzare il principio sapere, per sviluppare gli altri due principi fondamentali dell’uomo: il sentire e il volere. Porsi bene domande illuminanti favorisce il sentire meglio, anche su piani esistenziali sempre più elevati, che corrisponde anche alla continuità di consapevolezza, oppure coscienza, su tali piani.

Le domande illuminanti sono anche uno strumento per liberarsi dal sapere superfluo. La mente non sufficientemente illuminata può essere molto abile a diversificare la propria ignoranza esistenziale, facendole assumere vesti sempre più ammalianti. Essere molto colti non rappresenta necessariamente un vantaggio esistenziale. Più che essere colti dovremmo saper cogliere. Essere colti può essere inteso come subire. In modo simile in cui un frutto subisce passivamente il suo essere colto da qualcuno, l’essere colti può significare subire la propria nozionistica, perché non si coglie il proprio essere caduti in fallo.  

Non dovremmo porci domande superflue, che aumentano la quantità delle nozioni, senza però anche apportare qualitativamente. L’utilizzo non sufficientemente consapevole della mente, la porta a essere sempre più soggiogata dal proprio concettualizzare: per offrirci risposte qualitative dobbiamo chiederci e risponderci qualitativamente.

L’aumento di quantità di sapere qualitativo è più che benvenuto. Aumento qualitativo del sapere significa anche aumento della sua complessità, che esige anche la correlazione delle nozioni a disposizioni, per generare, infine, sintesi. Possiamo acquisire moltissimi concetti, senza però praticamente aumentare la complessità concettuale, la quale esige comprensione. La complessità è ben diversa dalla complicatezza.

Chiedo al Bene Assoluto la moltiplicazione

infinita di domande illuminanti.

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